Il ballo tipico dell’Italia meridionale è la tarantella ancora oggi presente, anche se con caratteristiche assai diverse da zona a zona, in molte aree del Sud. La tarantella calabrese si distingue dalla classica napoletana che è saltellante , rumorosa, chiassosa; essa è invece educata , signorile, composta, ma pur significativa: è l’eterna vicenda dell’amore, tradotta in ballo.
Originariamente la tarantella era collegata ai riti necessari per guarire le morsicature dei ragni o “tarantole”. Si riteneva infatti che chi era stato morso da un ragno, per liberarsi dal veleno, doveva tanto ballare fino a che si vedeva morire la tarantola.
A seconda dei movimenti, la tarantola veniva definita “pecurara” o “quaddarara”: nel primo caso il sofferente doveva ballare al suono della zampogna; nel secondo caso si doveva accompagnare il ballo con suono di una caldaia oppure di una lira battendo con una mazza su una pentola di latta.
Il ballo veniva accompagnato, a volte con versi di occasione:
“Duvi ti muzzicau la tarantella?
Duvi ti muzzicau ti ‘mbilinau.
Duvi ti muzzicau chija arragggia?
Duvi ti muzzicau mentici taju,
nommu ti passa avanti lu vilenu”
In seguito la tarantella è divenuta danza di corteggiamento, carica di esplicitazioni sessuali e manifestazioni di violenza.
Ecco come la descrive Richelmo da Cerreto:
“E’ pudica, fatta di grazia, fine, precisamente come l’amore calabrese, fatto con discrezione, con educazione, senza esuberanza , malgrado l’esuberanza della passione. La donna balla con passetti rapidi e corti, segnanti un’ellisse , con le braccia sui fianchi.
Guarda in terra contegnosa, in qualche momento solleva un poco la gonna tenendola aperta come a sciorinare le proprie virtù, mandando in visibilio il ballerino che salta, schiocca le dita, batte le mani, lancia un grido festoso per incoraggiarla ad alzare un poco più la gonna e cerca di girarle attorno come per prenderla di sorpresa, ma la donna che conosce le arti della difesa meglio dei militari e che deve difendere un magnifico castello (e quale miglior castello di quello delle sue virtù!) sa che il pericolo deve essere affrontato di faccia ed allora balla sorvegliando i passi di lui ed in cortese sfida, ardita con i pugni ai fianchi …tuppi-tuppi-tuppi… continua seria e sicura di se stessa ricamando con i suoi piedini.
E lui gira di qua e lei sempre davanti di qua, gira di là ed anche lei di là. In qualsiasi difesa, la parte di dietro è la più delicata, la più pericolosa e la donna lo sa e lo sa bene e … sorveglia. Bello è il momento culminante quando i due scivolano di spalla, come passandosi in rivista…le retroguardie. Si sfiorano senza toccarsi però, lei guardando pudica in terra, lui invece(quello svergognato !) la guarda che pare la voglia mangiare viva.
Ma la bella che sente il calore del suo sguardo è soddisfatta e generosa ed in premio e ad incitamenti dà una giravolta di gioia,rapidamente però come per dire maliziosa” continua…chissà…puoi sperare”. Allora il giovanotto incoraggiato, si sbizzarrisce ancora di più, saltella più frenetico, grida finchè stanco e sfiduciato rinuncia ritirandosi, immediatamente sostituito da un altro che si lancia nel ballo cercando di conquistare l’imprendibile fortezza.”
Il ballo si svolge al suono della zampogna o dell’organetto, accompagnata da un tamburello per segnare il ritmo. E’ l’antica, la patriarcale. La si sente al seguito delle pecore, la si sente sperduta tra le colline. E’ la voce della nostra terra!