A Bova, tra i nipoti di Omero, la buonanotte fino a qualche anno fa si dava utilizzando questo enigmatico augurio, contenuto nel Dizionario Storico del Karanastasis: Ciùma ce càme alàdi, “dormi e fai olio”¹.
La frase, secondo l’esimio linguista, accademico di Atene, significa semplicemente “dormi e tranquillizzati”; ma il rapporto analogico che intercorre tra l’atto del dormire e la “magica” produzione dell’olio “della serenità” durante la fase onirica del bambino, non viene per nulla esplicitato dallo studioso greco; sicché ci sembra giusto ricercare noi la vena logica su cui scorre la sottile e profumata metafora liquida, che il Karanastasis ha qui solo intuitivamente subodorato.
Proviamo, tanto per cominciare, a pensare al greco di Calabria non come a una lingua arcaica, incomprensibile, avulsa dalla nostra quotidiana esperienza di vita, di greci “non più parlanti” (come sostengono i detrattori della nostra millenaria cultura), ma come alla fonte originaria e feconda, da cui è fluita e fluisce gran parte della linfa lessicale del dialetto calabrese meridionale, il greco “italianizzato” di oggi, che tuttora noi tutti, in modo quasi sempre inconsapevole, parliamo per strada e nelle nostre case; l’evoluzione semantica del greco di Bova è dunque strettamente congiunta a quella del nostro dialetto calabrese.
Per noi il ragionamento da cui partire è il seguente: che cosa accomuna l’uomo e l’olio nella fase in cui entrambi “dormono”, ossia riposano?
Risposta:
1) L’olio, come l’uomo (da bambino), per maturare ha bisogno di riposare a lungo.
2) Riposando, l’olio deposita sul fondo la “murga”, la morchia, minuscola patina residuale della molitura, che di giorno galleggia in superficie, poiché l’olio viene frequentemente mosso per essere utilizzato in cucina.
3) L’uomo (bambino) quindi, nello specifico della metafora è come la morchia dell’olio che, riposando a lungo e bene, “si rigetta”, ossia dorme e trova la sua più intima pace e tranquillità dell’animo, sul fondo ormai immoto del proprio corpo assopito (involucro dell’anima), e “fa l’olio” puro, decantandolo lentamente nel sonno...
Pertanto il detto grecanico Ciùma ce càme alàdi trova esatta corrispondenza nella frase dialettale dormi e va’ e rigettati, “dormi e vai a riposo”, come l’olio, che diviene nell’uso metaforico “l’oro liquido dei sogni”, il prodotto dell’anima di ogni singolo bimbo sereno.
E ciò spiega anche a nostro avviso perché il bambino in grecanico è detto sciòlico, vocabolo assai “istruttivo”, perché presenta la stessa radice etimologica della parola “scuola” in italiano.
Sciòlico è “chi se ne sta a riposo, immerso nell'ozio (σχολή)”. Il termine proviene dal neutro dell’antico aggettivo greco σχολικός (scholikòs) > το *σχόλικον (to *schòlikon) e non, come vorrebbe il Rohlfs dal calabrese stròlicu “pazzo, lunatico” (attraverso il greco αστρόλογος “astrologo”)², o come ritiene invece il Karanastasis da un relitto lessicale dell’antico aggettivo σόλοικος (sòloikos) “ignorante”.
Concludendo, il bambino nella lingua greca di Calabria è colui che riposa in un confortevole spazio dorato. Lasciamo che crescendo si nutra dei suoi sogni, senza per questo dargli del “pazzo, lunatico o ignorante”, perché come ci insegna Shakespeare ne La tempesta: “Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita”.
Pasquale Casile
¹A. KARANASTASIS, Ιστορικόν λεξικόν των Ελληνικών ιδιωμάτων της Κάτω Ιταλίας, Αθήναι 1991, τόμος τέταρτος p. 447.
²G. ROHLFS, Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria, Ravenna 1990, p. 695.